GIORNATA COMUNITARIA 12 MAGGIO 2024
“DEPONI, O GERUSALEMME, LA VESTE DELL’AFFLIZIONE, RIVESTITI DELLO SPLENDORE DELLA GLORIA CHE TI VIENE DA DIO”… (BARUC 5,1).
Oggi la Comunità Immacolata di Milazzo si è riunita nella chiesa dell’Immacolata per la giornata comunitaria proposta dai fondatori e responsabili Pino e Cinzia, e fortemente voluta da tutti noi il piccolo resto. Penso di rappresentare il pensiero di tutti, affermando che è sempre bello riunirci per pregare, per l’adorazione Eucaristica, per le catechesi e per le varie riflessioni, ma soprattutto è bello sentirsi parte di una comunità carismatica cattolica, è bello l’appartenenza ad un gruppo, il piacere di stare con l’altro e non da soli, perché tutti siamo fatti per essere amati.
Amiamo Dio sapendo che Lui ci ama per primo e quindi apparteniamo all’amore di Dio.
Per programmare la giornata comunitaria, la comunità si è riunita e nella preghiera a il Signore ha donato a due sorelle lo stesso passo, confermandolo per la giornata, tutti i passi avevano come filo conduttore la luce che risplende nelle tenebre e che ci fa rivestire dello splendore della gloria di Dio. Affidandomi la responsabilità di sviluppare una riflessione sul passo devo confessarvi che ho trovato non poche difficoltà, e per prima cosa mi sono chiesta cosa volesse dirci e comunicarci il profeta con il suo passo. Il profeta Baruc ha scritto solo 5 capitoli,ed è vissuto durante l’esilio di Babilonia. La cosa che più mi ha colpito e che solo pochi libri ammettono, è la possibilità che un israelita viva stabilmente al di fuori della terra promessa e questi sono: Tobia, Baruc, la Sapienza, e forse Ester.
Baruc non dimentica Gerusalemme, la città santa rimane la sorgente dell’unità e della tradizione, il profeta dichiara che noi troviamo Dio anche in terra straniera, per un popolo che si è separato o smarrito, fisicamente e emotivamente, rispetto al suo ambiente normale. Vediamo come anche oggi Baruc aiuta le persone che vivono un espatrio fisico o una estraneità psicologica, a raggiungere la stabilità e a percorrere la retta via in pace con Dio e con il prossimo. Nella nostra condizione di senza patria, il profeta Baruc cerca di indirizzarci alla preghiera qualunque sia la situazione, noi possiamo rivolgerci a Dio, al realismo ovunque ci troviamo, la vita va affrontata e vissuta in termini pratici, con umiltà digiunando e riconoscendo gli errori noi ci libereremo della colpa senza gettare il peso su altri. Per Baruc a scongiurare i pericoli della fede derivanti dal vivere in esilio, sono una solida dottrina su Dio, fermamente e particolarmente in chiave monoteistica. Le sofferenze dell’esilio partono ad un’ampia riflessione sul peccato, sul pentimento e sull’idolatria. Il monoteismo non ammette discussioni, gli dei devono essere respinti con disprezzo. Il Dio d’Israele ha creato i cieli, la terra e tutto quanto contengono (3,3), Dio è giustamente la fonte suprema della sapienza (3,32-35), ed è intronizzato in eterno nel più alto dei cieli (3,3).Dio è giustamente la fonte suprema della sapienza (3,12-32), è equo (1,15; 2,6-10) è misericordioso (2,27; 3,1; 5,9).
Il peccato disgrega e rinnega la sapienza di Dio per l’universo (2,12); è un atto di ribellione (1,22; 4,7). Considera tutto Israele e l’apostasia nazionale (1,16-20; 2,1-6).
Il pentimento è la ragione principale per cui è stato composto il libro di Baruc. Israele ha bisogno di essere onesto nel confessare le proprie colpe (2,14; 3,2) e nel ritornare all’unica fonte della bontà (2,8; 4,28). La speranza appare come l’atteggiamento dominante in questo libro, eternità diventa la parola-chiave; un’alleanza eterna (2,35) con Dio che è fedele in eterno (3,3). La salvezza quindi proviene da un Dio eterno (4,8).
L’eternità pervade le sentenze sulla consolazione di Dio ad Israele (4,10,21,24,35; 5,2) come pure il preannunciare di una felicità eterna (4,23-29; 5,1-4). Vediamo come il popolo è in esilio (Babilonia), si è allontanato da Dio, ora si sente prigioniero. Questa è la condizione che ogni uomo si trova prima o poi a vivere. Sarà Dio a salvarlo. Tutte le azioni sono compiute da Dio (Dio mostrerà, sarai chiamato da Dio…). L’unica lotta che l’uomo può e deve condurre è quella contro se stesso, contro tutto ciò lo abita, tenendolo lontano da Dio. Sono dentro di noi i nemici che ci tengono in esilio. E’col discernimento che possiamo imparare a riconoscerli. “Deponi o Gerusalemme la veste del lutto e della afflizione e rivestiti, invece della gloria che ti viene da Dio”. La visione si apre con un comando che Dio rivolge agli abitanti di Gerusalemme: deporre i segni del lutto, poiché il tempo della sofferenza e della umiliazione che Israele ha ricevuto a motivo della sua condotta si è concluso.
Gerusalemme, un tempo costretto a vedere la dispersione dei suoi figli per non avere ascoltato la voce del Signore (1,18) deve ora vestirsi con abiti regali e vivere il tempo della consolazione. Là dove l’uomo pensa che le conseguenze del suo agire siano definite, deve ancora lasciarsi sorprendere dal coraggio di Dio. La visione di Baruc si chiude, allora, con una stupefacente scena corale, proprio perché Dio rilancia il rinnovo dell’alleanza, Gerusalemme può contemplare il ritorno dei dispersi. Il ritorno degli esuli è un’immagine efficace per rilevare come non c’è un punto ideale da cui si dovrebbe partire. Non c’è esistenza che per quanto lontana, possa adombrare il Suo desiderio e la nostra vocazione a figli. Là dove noi siamo, comincia il nostro ritorno al Padre; il nostro rivestimento in abiti di gloria. E non c’è ritorno al padre che non sia anche ritorno ai fratelli in termini di pienezza: di ciò che è propriamente umano: collaborazione, cura e per quanto ci riusciamo e fin dove ci riusciamo, perdono. Non abbiamo altro che la nostra storia come luogo propizio per confessare il nostro allontanamento e la nostra salvezza. L’oggi di Dio apre un varco possibile. L’ascolto della Sua parola rende possibile un cammino che da sempre ha molteplici forme, pratiche cui tornare: il silenzio, la cura del fratello e la responsabilità verso il mondo. Vediamo come sia attuale la parola di Dio e come ci parla attraverso il profeta Baruc, e oggi sia alla comunità Immacolata che a ciascuno di noi, con il nostro esilio (allontanamento a causa dei nostri peccati e dei nostri idoli al sommo bene) con la nostra storia, provati da mille problemi, ci dice che il nostro pianto, la nostra afflizione è terminata, perché il suo amore ci riveste di luce.
Fratelli e sorelle torniamo a Dio con cuore sincero, davanti a Dio ognuno di noi è prezioso, irripetibile e unico, e ciascuno di noi occupa un posto privilegiato nel suo progetto divino. Nessuno può prendere o sostituire il posto del fratello, anche se quest’ultimo non dovesse aderire al suo progetto, il posto rimarrà vuoto, e non può essere occupato da nessuno.
Perciò fratelli per quanto ci è possibile amiamoci, e lasciamoci amare da Gesù Cristo e che il nostro amore sia agape, come nel famoso inno alla carità prima lettera ai Corinzi 13,1-13 di San Paolo apostolo:
“La carità è paziente, è benigna la carità: non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità.
Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine”…
Alleluia Signore Gesù Cristo, e grazie per il dono dei fratelli.
Mina